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25 Agosto 2025

Corte di giustizia UE: l’omologazione CE non esonera il produttore automobilistico dal risarcimento

Consulenza ed assistenza per i consumatori in Europa

omologazione CE

Un produttore automobilistico non può far valere l’esistenza di un’omologazione CE per sottrarsi alla propria responsabilità in caso di dispositivi di manipolazione illeciti. È quanto ha stabilito la Corte di Giustizia UE in una recente sentenza, emessa nella causa C-666/23.

 Il caso specifico

Due acquirenti di veicoli diesel del costruttore tedesco Volkswagen chiedevano a un giudice tedesco un risarcimento danni, sostenendo che i loro veicoli fossero dotati di un dispositivo di manipolazione presumibilmente illecito. Si tratta di un software comunemente chiamato intervallo termico, progettato per ridurre il ricircolo dei gas di scarico quando la temperatura esterna scende sotto i 10°C, facendo aumentare le emissioni di ossido di azoto. In uno dei due veicoli, il software era già presente al momento dell’acquisto; nell’altro, veniva installato in seguito, durante un aggiornamento del software.

Considerati, da un lato, gli argomenti presentati da Volkswagen e, dall’altro, una sentenza della Corte federale di giustizia tedesca, secondo la quale un costruttore può invocare un errore inevitabile sull’illiceità del sistema come causa di esonero dalla responsabilità, il giudice tedesco investito della causa decideva di rivolgersi alla Corte di Giustizia dell’UE. La domanda di pronuncia pregiudiziale verteva sull’interpretazione dell’articolo 5 del regolamento (CE) n. 715/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’omologazione dei veicoli a motore con riferimento alle emissioni dei veicoli passeggeri e commerciali leggeri (norme Euro 5 ed Euro 6), nonché all’accesso alle informazioni sulla riparazione e la manutenzione del veicolo.

Il diritto a un risarcimento adeguato

In primo luogo, la Corte ha chiarito che un costruttore automobilistico non può sottrarsi alla propria responsabilità per l’installazione di un dispositivo di manipolazione illecito semplicemente perché il veicolo o il sistema in questione è stato omologato dall’autorità nazionale competente.
L’omologazione CE, infatti, è una procedura che certifica la conformità di un veicolo, componente o sistema ai requisiti tecnici previsti dalle normative europee in materia di sicurezza, ambiente e prestazioni. Tuttavia, questa certificazione non implica che l’autorità nazionale abbia approvato o confermato la valutazione del costruttore sull’eventuale liceità del dispositivo installato.

La Corte ha precisato, inoltre, che la responsabilità del costruttore si applica sia quando il dispositivo illecito è stato installato in fase di produzione, sia quando è stato aggiunto successivamente, ad esempio tramite aggiornamenti software.

Infine, la Corte ha affrontato il tema del quantum del risarcimento. Il diritto dell’Unione, in linea di principio, non vieta che dall’importo del risarcimento spettante all’acquirente venga detratto il beneficio derivante dall’uso del veicolo, né che il risarcimento possa essere limitato a un importo pari al 15% del prezzo di acquisto. Tuttavia, è fondamentale che il risarcimento sia adeguato al danno effettivamente subito. Spetta quindi al giudice nazionale verificare se l’eventuale deduzione del beneficio o la limitazione dell’importo garantiscano comunque un risarcimento equo e proporzionato.

Non è la prima volta che Volkswagen viene coinvolta in vicende legate all’uso di software di manipolazione delle emissioni. Già nel 2015 il gruppo tedesco è stato al centro del cosiddetto Dieselgate, uno scandalo che ha rivelato la presenza, su milioni di veicoli venduti in tutto il mondo, di dispositivi in grado di falsare i test sulle emissioni inquinanti. Questi sistemi permettevano alle auto di rispettare i limiti di legge solo in fase di prova, mentre nella guida reale le emissioni risultavano nettamente superiori. Le conseguenze furono enormi: richiami di veicoli, maxi-sanzioni da parte delle autorità americane ed europee, e una serie di cause legali promosse da consumatori e associazioni in diversi Paesi. In Italia, la class action promossa dai consumatori è stata dichiarata ammissibile in via definitiva, con Adiconsum tra le associazioni promotrici.

La vicenda Volkswagen e la decisione della Corte di giustizia sottolineano l’importanza di un quadro normativo europeo ben preciso, che disciplina sia le emissioni inquinanti sia gli obblighi dei costruttori nei confronti del mercato post-vendita. Il Regolamento (CE) n. 715/2007 è uno dei pilastri della legislazione europea in materia di veicoli leggeri. Ha due obiettivi principali: fissare limiti sempre più stringenti alle emissioni inquinanti (introducendo le norme Euro 5 ed Euro 6) e vietare l’uso di dispositivi di manipolazione che alterano i sistemi di controllo delle emissioni.

Accanto a questo aspetto ambientale, il regolamento tutela anche la concorrenza nel settore post-vendita: l’art. 6 obbliga i costruttori a fornire, in modo libero, standardizzato e non discriminatorio, tutte le informazioni necessarie per la diagnosi, la riparazione e la manutenzione dei veicoli. Questi dati comprendono manuali tecnici, schemi elettrici, codici di guasto, procedure di reset e aggiornamenti software, così che anche le officine indipendenti possano operare in sicurezza e conformità di legge.

Dal 1º settembre 2020, gran parte della disciplina relativa all’accesso alle informazioni è confluita nel Regolamento (UE) 2018/858, che ha rafforzato le regole già esistenti. Il nuovo regolamento ha introdotto requisiti più dettagliati sui formati elettronici, la tempestività nella pubblicazione dei dati e i controlli da parte delle autorità nazionali, oltre a poteri di vigilanza più incisivi da parte della Commissione europea. In questo quadro normativo aggiornato, il diritto di accedere alle informazioni tecniche è riconosciuto come elemento essenziale per garantire un mercato dell’assistenza trasparente, competitivo e favorevole ai consumatori.

 

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